BIOGRAFIA

Biografia di Alessio Bergamo.

Sono nato a Roma nel ‘64.
In vaticano c’era ancora Giovanni XXIII. Al referendum sul divorzio in Italia avevo 10 anni. Alla presa di Saigon 11. Al rapimento Moro 14. Alla morte di Berlinguer 20. L’Unione Sovietica si è dissolta quando avevo 27 anni. Berlusconi è arrivato al potere quando ne avevo 30. Genova è stata che ne avevo 37 e le Torri gemelle pure. Il covid è stato ieri. Tra il covid e le Torri gemelle, in occidente il trend è stato lo stesso. Crisi del 2008 compresa. Un trend non esaltante, per essere eufemistici.

Ho studiato. Al liceo ci insegnavano anche Storia del Teatro. Due professori importanti. Per me. E in assoluto. Franco Ruffini e Silvana De Vidovich. Avevo 23 anni quando ho fatto il decimo anno di pianoforte (e contestualmente smesso di fare musica). 25 quando sono andato per un anno in URSS a fare uno stage allo LGITMIK, l’Istituto Teatrale di Leningrado (ci ho preparato i materiali per la tesi di laurea, sugli spettacoli/feste rivoluzionarie di massa negli anni della guerra civile, che venti anni dopo ho aggiornato e pubblicato).

Durante quell’anno, la Russia ha smesso per me di essere un luogo legato al mio immaginario artistico, e politico, ed è diventato un luogo reale, vivo.

Mi sono innamorato del teatro russo. Quello vivo: ho visto spettacoli di Tovstonogov, Efros, Spivak, Dodin, Zakharov e del Teatr Čelovek.
Ho conosciuto le opere allora di moda della della Petruševskaja e di Mrožek. Ho frequentato i luoghi magici dell’Istituto di teatro e del teatro dell’Istituto. Delle biblioteche sovietiche.

 
Mi sono sciolto nei treni che viaggiavano la notte nella neve. Nei laghi. Nelle moltitudini cittadine. Nella sensazione di essere persi in un posto enorme, particelle in un fiume che scorre. Largo. Molto largo. Come la Nevà.

Avevo 26 anni quando tornato dalla Russia mi sono laureato in Storia del Teatro, all’Università La Sapienza di Roma, col prof. Ferruccio Marotti.
Era il ‘90. Che è poi lo stesso anno in cui, assieme a Ferruccio andammo a Taormina a conoscere Anatolij Vasil’ev che mostrò il primo Pirandello che nella mia esperienza valeva la pena di essere visto oltre che letto.

Nel ‘91 ho cominciato a collaborare con Vasil’ev. Prima come traduttore, poi come assistente. Non ho smesso sino al ‘97, cioè quando avevo 33 anni. Da lui ho imparato a pensare il teatro e a osservare i processi dell’attore.


Nell’arte c’è qualcuno che ha la fortuna (e il peso) di avere avuto dei Maestri

Lui è stato il mio. Da lui ho sentito dire cose profonde e capaci di far vedere quello che non si vedeva nei testi e nelle opere. 

Accanto a lui ho visto accadere cose molto belle. E molto irripetibili. Perché non montavamo spettacoli, ma facevamo soprattutto lavoro laboratoriale. In improvvisazione. A volte, con sprezzo del pericolo, anche davanti al pubblico (poi, nel seguito della mia carriera, non ho mai smesso di persistere in questa pratica kamikaze).

Silvana De Vidovich al Liceo Mamiani
Ferruccio Marotti e Anatolij Vasil’ev
Alessio Bergamo e Jurij Alschitz
Anatolij Vasil’ev

Uno di questi lavori fu il Ciascuno a suo modo. Cominciammo nel ‘91 e finimmo nella primavera del ‘93, quando facemmo 20 performance in improvvisazione al Teatro Ateneo diretto da Marotti. 

In quell’autunno ho vinto il dottorato in “Storia, teoria e tecnica del teatro e dello spettacolo” e sono andato in Russia per fare una tesi su Vasil’ev. 

Lì, nel ‘94, ricevetti una telefonata da Arkadij, un amico. Un suo amico, Stas Tajušev, dirigeva un teatro a Vologda. Stas voleva collaborare con un regista italiano. Arkadij mi chiese se ne conoscessi uno da raccomandargli. Gli dissi “sì, io”. Mi disse: “già, perché no?”. Non ci dormii la notte successiva, ma il mio primo spettacolo venne bene. Era dedicato a un materiale che adoro e sul quale ritorno appena posso: le novelle di Pirandello.

Nel ‘96 tornai in Italia per finire di scrivere la tesi di dottorato e per discuterla. Rimisi in piedi il gruppo del Ciascuno a suo modo e mi misi a collaborare con Jurij Alschitz, ex collaboratore di Vasil’ev. Lavorammo insieme sino al ‘98. Era una scuola di “ri-formazione” teatrale. Su scala europea. Per professionisti. A lui devo l’impostazione del training che spesso uso a scopi pedagogici.

Nel frattempo continuavo a fare avanti e indietro con la Russia. Poi un po’ perché nel ‘94 a Vologda avevo conosciuto Svetlana, un po’ perché in Italia non mi ci trovavo proprio, il gruppo si era disperso e il lavoro con Jurij si era dimostrato insoddisfacente, tornai in Russia. Lì e in Ucraina feci una serie di spettacoli (Odessa, Mosca, Pietroburgo, Petrozavodsk). 

E, assieme a Svetlana, facemmo anche Sebastiano, che è nato alla fine del 2000 e, sostanzialmente, da subito si è rivelato il fico che tutt’ora è. Nel 2000 cominciai anche a rimettere qualche piede in Italia e feci il mio primo spettacolo italiano.

Nel 2001 cominciai a collaborare con la Silvio D’Amico. Avevo 37 anni e tornai con la famiglia in pianta stabile in Italia. La mia parentesi russa si era conclusa, almeno in termini di vita stanziale (ma ovviamente contatti e collaborazioni sono continuati).

Dal 2000 al 2009, ai miei 45 anni, ho fatto la vita del precario teatrale con famiglia. 

Ho insegnato alla Silvio D’amico (recitazione, drammaturgia dell’attore e coordinato lì i progetti di collaborazione con la Russia), in diverse altre scuole (Galante Garrone, Cometa, una scuola del Teatro di Ancona, ecc.), insegnato all’Università di Viterbo e all’Università  di Cosenza, pubblicato saggi, curato e tradotto libri (quello di Vasil’ev e quello della Knebel’) e messo in scena La resistibile ascesa di Arturo Ui a Odessa nel 2008.

Nel 2007 ho cominciato a insegnare anche alla Paolo Grassi.
Dal 2009 sono diventato di fatto insegnante di ruolo in Storia dello spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Frosinone.

E, in quello stesso anno, assieme a due allieve registe della Paolo Grassi (Flavia de Strasser e Francesca Cavallo), ho fondato POSTOP.


L’abbiamo chiamata POSTOP perché volevamo fare delle “post-opere”: progetti site-specific in improvvisazione. Il manifesto allegato spiega tutto.
Tutto quello che ho fatto in teatro da quella data è rientrato sotto questa sigla.
Anche se poi, in realtà, solo in parte si è trattato di post-opere come quelle di cui parla il manifesto. E un numero indefinito di laboratori. In genere su classici. La dinamica di dissonanze e coincidenze tra la vita scenica improvvisata di noi contemporanei e le sedimentazioni di opere importanti e lontane, è ricca e vertiginosa.

Dal 2010 al 2015 ho lavorato sulla Passione secondo Matteo di Bach (e di Matteo), un progetto che veniva fuori da un esercizio classico sulle azioni fisiche e si sviluppava in tutt’altra direzione, una sorta di teatro-danza, basato su una drammaturgia collettiva. Sogni, storie, esperienze personali rielaborate che con la Passione avevano agganci molto forti, ma assolutamente non narrativi. Cominciavamo dando pane, vino, salame, uova, formaggio e uva al pubblico. Cioè portandolo avanti di tre giorni, rispetto al venerdì.

Ciascuno a suo modo – 1993
Passioni, prove – 2012

Nel 2017, a cent’anni dalla rivoluzione russa, data a cui tenevo, ho messo in scena assieme ad Asinitas onlus il Mistero buffo di Majakovskij. Dopo i lavori nelle scuole è stato il primo lavoro impegnativo di teatro nel sociale. Eravamo 51 in scena. Più della metà, richiedenti asilo. Appena sbarcati. E dietro c’erano almeno altri quindici collaboratori di Asinitas onlus che produceva lo spettacolo. Alla fine del viaggio a cui sono stati costretti da una catastrofe planetaria, da una sorta di nuovo diluvio, gli impuri arrivano alla terra promessa.

Lì le cose di cui hanno bisogno sono vive e si mettono al loro servizio. Gli attori raccontavano del loro arrivo nella terra promessa e dell’incontro con le cose vive in un video girato a Garbatella. Poi cadeva lo schermo su cui lo si proiettava. Dietro c’eravamo tutti sessanta e più, quanti eravamo. E come succedeva nelle feste/spettacoli su cui avevo fatto la tesi, cantavamo l’Internazionale. Ci aspettavamo lo cantasse anche il pubblico con noi. Diversi spettatori si univano, ma abbiamo scoperto che molti ormai non lo conoscevano più. Cent’anni, comunque.

Dall’anno precedente ho cominciato a collaborare con un gruppo di artisti fiorentinofiesolani e abbiamo fatto due spettacoli basati sui racconti di Gogol’. Ho avuto la sensazione di avere un gruppo e una continuità

L’ultima replica l’abbiamo fatta quest’anno 2024, il mio sessantesimo.